Schede

SITI DEL BOLLINO VERDE:

Localizzazione del sito:
Il sito, in questione, si trova in Arzano (NA), in p.zza Cimmino.
Descrizione del sito:
La struttura è a croce latina con tre navate ed il portale di accesso attuale risale alla fine del XVIII secolo. All’interno è possibile ammirare diverse opere di Salvatore Cozzolino, risalenti al XIX secolo. L’altare maggiore è in marmo ed è dedicato alla Vergine Maria. Dalla chiesa si può accedere alla cappella della Confraternita del Rosario. Essa si caratterizza per lo stile barocco.
Ipotesi di valorizzazione
Per poter valorizzare ancor di più la struttura vi è bisogno di lievi cambiamenti, come migliorare l’illuminazione e cambiare le sedute. Si potrebbe realizzare, inoltre, una struttura ludica (campetto di calcio,ecc..) per creare un gruppo di aggregazione per gli abitanti, soprattutto per i giovani. Si potrebbe creare un chiostro aggiuntivo con delle opere d’arte dei cittadini, in modo tale che i visitatori si sentano attratti a frequentare la chiesa.

 

 

 

 

 

 

 

Liceo: Liceo Scientifico Giordano Bruno  Classe: 5BLL Tutor: Prof.ssa Michela Ronca

Chiunque passeggi per le strade di Frattamaggiore viene catturato dall’imponenza della ciminiera industriale costruita nel 1873 la quale, dall’alto dei suoi 50 metri di altezza, osserva scrupolosamente i cambiamenti avvenuti nella seconda metà dell’Ottocento quando la città si trasformò da centro prettamente agricolo a centro di produzione industrializzato.

Frattamaggiore, infatti, è ricca di reperti di archeologia industriale, <<branca che studia tutte le testimonianze (materiali e immateriali, dirette ed indirette) inerenti al processo d’industrializzazione fin dalle sue origini, al fine di approfondire la conoscenza della storia del passato e del presente industriale[1]>>. Tale architettura segnò lo sviluppo economico ed urbanistico della città, con radicali mutamenti nella costruzione di edifici, residenze, rete di trasporti e destinazione produttiva della terra. I grandi edifici della seconda metà dell’Ottocento avevano ancora uno sviluppo verticale multipiano atti a contenere i grandi e sofisticati macchinari di produzione, fenomeno assai diffuso nella città di Frattamaggiore, per poi passare al modello architettonico a sviluppo orizzontale. Il punto di partenza di questa estrema trasformazione sociale ed economica è dunque il 1873, quando nasceva a Milano il Linificio e Canapificio Nazionale con lo scopo di migliorare le caratteristiche dei prodotti, rispettare le nuove leggi sociali sull’igiene e la qualità del lavoro, ridurre gli incendi e accrescere le proprie risorse di energia motrice. La Ditta, già dal 1920 disponeva di venti stabilimenti collocati soprattutto nel Nord Italia tra cui veniva annesso anche un grande impianto edificato a Frattamaggiore, raro esempio di azienda industrializzata del Sud, gestita dagli imprenditori locali Carlo Rossi, il marchese Gerardo Capece Minutolo, il Cav. Carmine Pezzullo e Sossio Russo[2]. Tra le varie ipotesi e motivazioni che spinsero gli imprenditori del Nord ad investire al Sud fu la manodopera a basso costo e la possibilità di ridurre i tempi ed i costi di trasporto dei grandi prodotti filati destinati al mercato della città di Napoli. Tra i vari prodotti vi erano i filati composti da canapa ad umido, lino locale, fibra pastosa e canapa a secco.

L’ex canapificio è ubicato in via Vittorio Emanuele III ed è attualmente di proprietà della MEC DAB, società che ha acquisito la vecchia area industriale trasformandola in un consorzio di nuove aziende. Lo stabilimento adottò il modello architettonico a sviluppo orizzontale con la costruzione di una grande caldaia a vapore con lucernario e alta canna fumaria. Accanto vi erano i locali per la lavorazione della canapa e gli edifici a padiglioni per l’alloggio degli operai, grandi macchinari tecnologici della Ditta Ercole Marelli col motore Mac, un serbatoio di 22 metri di altezza atto a contenere 50 metri cubi d’acqua con la finalità di ridurre possibili incendi e vari opifici per il candeggio e la lucidatura delle corde. Dunque, la struttura cercava di garantire la sicurezza dei lavoratori a cui venivano concessi alloggi e il convitto per la creazione di una piccola comunità di lavoratori[3]. Oggi si estende per circa 55 mila ettari dei quali 30 mila sono occupati da capannoni, tra cui si trova ancora il serbatoio per l’acqua e un orticello biologico di nuova costituzione. I locali che ospitano la grande macchina a vapore utilizzata in passato per alimentare le attrezzature sono oggi adibiti a sala per ospitare convegni e ricevimenti. Nel locale caldaia dell’ex canapificio vi è inoltre un pozzo da cui si diramano dei cunicoli, i quali durante il secondo conflitto mondiale furono utilizzati come riparo dai bombardamenti degli angloamericani. Alcuni edifici sono rimasti intatti, mentre altri, di nuova costruzione, presentano delle chiare differenze strutturali.

Un altro ex canapificio che si contraddistingue per la sua estensione è situato in via Carmelo Pezzullo, edificato nel 1914 dall’industriale canapiero e sindaco di Frattamaggiore commendatore Carmine Pezzullo, attualmente di proprietà della famiglia Lendi. Nella sua prima fase costruttiva si presentava diviso in due corti: la prima era la zona residenziale con una bellissima villa, la seconda era la vera e propria area industriale che ai suoi tempi era modernissima, dotata di una nursery dove le operaie potevano allattare i loro bambini e di strumenti industriali all’avanguardia. La famiglia Lendi la rilevò già dismessa alla fine degli anni ‘90 e nell’area riprende in parte il lavoro tessile. Sulla ciminiera dell’ex-canapificio Pezzullo vi era un parafulmine. All’interno della struttura al momento si trovano alcuni depositi e uffici, un bar, un negozio di abbigliamento, un’accademia di danza e una pizzeria. Attualmente questa struttura confina con la villetta comunale.

Quanto alla storia post Prima Guerra Mondiale, c’è da ricordare che il Pezzullo voleva che un tratto della ferrovia di Stato partisse dalla stazione di Frattamaggiore-Grumo Nevano e arrivasse direttamente nella sua industria. Per fare ciò era necessario che fosse abbattuto l’interposto palazzo Crispino, dove appunto Pasquale Crispino aveva la sua industria di tintoria, costruita alla fine del XIX secolo. Per questo motivo, grazie al suo ruolo di sindaco e alla presenza in parlamento del fratello deputato Angelo, appartenente al Partito Liberale, Carmine Pezzullo pensava di poter costringere il Crispino a cedere il suo stabilimento. Tra i due proprietari sorsero accese divergenze. Pertanto il Crispino si iscrisse al partito fascista e in poco tempo divenne il Podestà di Frattamaggiore e riuscì così a reprimere i propositi del Pezzullo. Crispino organizzò con alcuni militanti fascisti un raid a Frattamaggiore per piegare le resistenze del gruppo liberale dominante; ma quando i fascisti rivelarono l’intenzione di dare alle fiamme l’industria del Pezzullo, intelligentemente il Crispino capì che centinaia di capifamiglia avrebbero perduto il lavoro. Non ci sono pervenute notizie a cavallo delle due guerre. L’unica informazione di cui siamo a conoscenza è la ristrutturazione avvenuta negli anni ‘40, durante la quale sono stati aggiunti un serbatoio d’acqua e travi reticolari con pilastri.

 

 

 

 

 

 

 

3F Liceo Classico “F. Durante”

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Archeologia_industriale

[2] Vincenzo Scotti, L’Architettura Industriale di Frattamaggiore. Il Linificio e Canapificio Nazionale ed il Canapificio Angelo Ferro & Figlio, pp. 31-32.

[3] Vincenzo Scotti, op. cit., pp. 35-41.

Il borgo

L’antico borgo di Casapuzzano è una frazione del comune di Orta di Atella in provincia di Caserta, situato lungo la strada provinciale che conduce a Marcianise. Le testimonianze archeologiche venute alla luce inducono a ritenere che questa località fosse abitata già nel periodo romano-imperiale. L’origine del toponimo pare debba collegarsi alla cospicua presenza in quell’area di pozzi d’acqua, il che si spiega con l’esistenza di un’importante falda acquifera posta a pochi metri di profondità dal suolo. Da qui la prassi della popolazione atellana di attingere l’acqua da quei pozzi, ritenuti per di più le uniche fonti di acqua pura esistenti in quel territorio. Questo spiegherebbe l’origine del toponimo Casapozzano quale derivazione di Casaputeana o Casale del pozzo, dal latino puteus. Nel periodo medievale Casapozzano appartenne al Ducato longobardo di Benevento: con la fondazione di Aversa ad opera dei Normanni fece poi parte della “Baronia Francisca seu Musca. Nel 1269 durante la reggenza di Carlo I d’Angiò divenne signore di Casapozzano Rainoldo d’Avella: nel 1298 il Casale fu in parte di proprietà di Isabella Filangieri. Fu quindi uno dei Casali di Aversa fino all’epoca Murattiana, quando, in seguito all’istituzione dei Comuni, rientrò nella giurisdizione di Succivo. Molto importante per la storia del piccolo borgo è l’antico Castello che costituisce il nucleo e l’anima storica della cittadina. L’antico maniero, già esistente in epoca medievale, ebbe il suo momento di splendore sotto i Capece Minutolo, signori di Casapozzano nel 1378. A questo periodo risale un primo intervento di ampliamento e di restauro eseguito per volontà del Cardinale Enrico Capece Minutolo, Arcivescovo di Napoli. Verso la fine del ‘700 fu nuovamente ampliato ed abbellito con stemmi, cornici e singolari ciminiere. L’attuale configurazione dell’edificio si deve dunque agli interventi Settecenteschi e Tardo-Ottocenteschi voluti principalmente da Alicia Higgins, nobildonna irlandese e moglie di Vincenzo Capece Minutolo. Fu la stessa Marchesa che nel 1848 in seguito a delle controversie con l’amministrazione governativa (a quel tempo Casapozzano era sotto la giurisdizione di Succivo) riuscì con un plebiscito popolare, ad ottenere il disgiungimento da Succivo ed il passaggio alla giurisdizione di Orta di Atella. Un’altra preziosissima testimonianza della storia del borgo è la chiesa di San Michele Arcangelo in cui, nel corpo di fabbrica medioevale, sono custoditi i resti di un ciclo di affreschi risalenti tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo.

La chiesa

La Chiesa di San Michele Arcangelo di Casapuzzano sorse sulla via che si dipartiva da Atella e che si diramava poi, nell’area del Clanio, nelle direzioni di Capua, di Caserta, di Maddaloni e di Acerra, lungo le quali pure si incontravano altri siti micaelici, come quello di Marcianise e del Gualdo di Sant’Arcangelo. Si può dire che l’orizzonte della prospettiva che si può operare da questa chiesa verso i cigli e le rocche del pre-appennino campano che precede il valico per la Puglia e per il Santuario maggiore, sia un orizzonte tutto micaelico punteggiato dei santuari anche visibilmente osservabili dedicati a San Michele (Maddaloni, Caserta Antica, Sant’Angelo in Formis). La Chiesa sorta al luogo d’origine di questa prospettiva, che era propria anche dell’antica diocesi atellana non poteva che essere dedicata a San Michele. La certezza storica dell’antica esistenza della Chiesa di San Michele in Casapuzzano proviene da due documenti, che sono contenuti nella Rationes Decimarum in Campania pubblicata dal Vaticano e che risalgono al 1324. Questi documenti parlano esplicitamente della “Ecclesia Sancti Michaelis de Casapuczana” e la descrivono come una chiesa abbaziale. Da essi si evince che la Chiesa di san Michele era una abbazia retta da un abate e che aveva un presbitero che la officiava: l’abate proveniva dall’area cassinese e si chiamava Dyonisio de Trajecto ed il presbitero si chiamava Iunta de Vico (o de Vito).

La chiesa di San Canione di Sant’Arpino ha un’origine antica. La sua struttura originaria fu edificata intorno al III secolo dopo Cristo. È un antico edificio religioso di difficile datazione, considerato un oratorio paleocristiano di epoca atellana. Dedicato al Santo di origine pirenaica (292 d.C. circa), sembra essere stato anche la sua tomba fino alla data della traslazione del corpo in Acerenza (779 d.C.). Ritiene anche il titolo di S. Maria delle Grazie. Il corpo è a forma rotonda. La facciata presenta tre vani di diverse dimensioni. In quello centrale, in un trittico di lunette, esistono tre affreschi di impronta originaria bizantina, rimaneggiati nel tempo, raffiguranti Madonna delle Grazie, S. Canione, S. Nicola. All’interno vi è una pregevole statua lignea di San Canione risalente al sec. XVI. Al fianco del romitorio è stata innalzata la seconda parrocchia del paese nel 1969. Una leggenda narra di 12 o 13 vescovi africani che durante le persecuzioni vandaliche del sec.V, furono scacciati dall’Africa, dopo essere stati catturati e costretti a viaggiare su una nave vecchia e marcia, senza remi e senza vele, affinchè morissero in mare. Tra i vescovi c’erano Rosio, Secondino, Eraclio, Benigno, Prisco, Elpidio, Marco, Agostino, Canione, Vindemio, Castrense e Tammaro. La nave, però, non affondò e spinta da correnti favorevoli, arrivò in Campania, permettendo ai vescovi di spargersi tra i vari paesi nell’entroterra. Questo spiega perché san Canione viene raffigurato con la pelle nera. In realtà questa leggenda è una trasformazione medievale della leggenda della cacciata di Quodvultdeus, vescovo cattolico di Cartagine, e di una turba grandissima di chierici, i quali nudi e privi di ogni cosa, furono espulsi da Genserico e stipati entro navi rotte. Anche loro, secondo la leggenda, riuscirono a giungere in Campania tra l’anno 439-440 d. C.

La chiesetta attuale (parrocchia poi abolita e recentemente entrata a far parte della parrocchia della Trasfigurazione) è dedicata al titolare San Sossio levita e martire e fu edificata a seguito di abbattimento e ricostruzione della precedente cappella campestre, fatta innalzare all’epoca dai Filomarino nel XVI secolo. Nel sec. XVII ne furono proprietari anche i nobili Beneventa, gli stessi signori feudali che abitavano nel castello di Frattapiccola. Del precedente edificio religioso si conserva ancora il bel portale in marmo bianco, scolpito a bassorilievo riproducente più cornici ed elementi minuti verticali, ad ornamento e che abbellisce l’ingresso della piccola chiesa attuale. Con facciata a capanna, semplice ed essenziale nella sua architettura, il vano ecclesiale conteneva anche un semplice pavimento in cotto, del sec. XVIII, oggi conservato in forma residua in quanto alcuni anni fa vi è stato rubato il bel rosone centrale (quello attuale ne è una riproduzione). Sull’altare fa bella mostra di sé una tela settecentesca con l’immagine della Madonna del Rosario, mentre il piccolo simulacro del titolare San Sossio, è posto all’interno di un’idonea scarabattola. Probabilmente quest’antica cappella dovette nascere nel sito dove, al tempo di Atella, in epoca imperiale romana, esisteva un insediamento campestre di culto pagano caratterizzato da un remoto “tempietto compitale” compreso nella centuriazione dell’ager campano.

 Nell’XI secolo Atella era ormai ridotta a piccolo villaggio a causa della minaccia dell’invasione longobarda. È proprio in questa fase che cominciarono a formarsi quei piccoli insediamenti rurali (loci, vici) nella massa atellana, abitati di modeste dimensioni che in seguito sarebbero diventati i casalia: è il caso di Pumilianum, Crispanum, Fractula piczula e di altri loci e villae orrispondenti agli attuali comuni di Pomigliano, Crispano e Frattaminore. Di Teverolaccio invece non si ha testimonianza in nessun documento anteriore al XII secolo, il primo documento in cui viene citato infatti risale al 24 settembre 1120. Per tutto il secolo successivo e l’età aragonese non si hanno più notizie di Teverola di san Sossio, o Teverola Arsa, sebbene la Torre, che si trova ancora oggi nel casale, risalga proprio a quel periodo. La successiva documentazione si ritroverà nel XVI quando il feudo in seguito verrà conosciuto con i nomi di Teverolazzo, Trivolazzo e Teverolaccio. Si può far risalire all’età aragonese la costruzione della Torre, primitivo nucleo del casale, ma non si hanno documentazioni che attestino la consistenza dell’abitato. Preposta al controllo di importanti vie di comunicazione tra Acerra, Aversa, Capua e Napoli, questa torre semaforica mostra infatti i caratteri tipici delle costruzioni difensive aragonesi. Dal punto di vista architettonico, la torre si presenta a pianta quadrata con scarpa. Essa risulta suddivisa in tre livelli da cordonature toroidali; ogni livello presenta un’apertura su ogni lato in piperno, caratterizzata da un arco a tutto sesto e da una cornice modanata. È inoltre coronata da una caditoia a beccatelli e da una ghiera merlata di archetti a tutto sesto. La preesistenza della torre rispetto al Palazzo Baronale è suggerita dalle cordonature orizzontali che non trovano continuità nei muri perimetrali dell’edificio, e dalla diversa tipologia delle aperture, che nel palazzo si presentano di forma rettangolare. Nel 1548 Giovan Battista Palumbo possedeva in totale a Teverolaccio 93moggia di terreno, in parte piantate a vite maritata, ed in parte seminata a grano. Il Palazzo baronale venne costruito proprio sotto il baronato dei Palumbo, probabilmente tra il 1520 e il 1539, ed era costituito da un corpo lungo che incorporava la preesistente Torre, e da un altro corpo ortogonale a questo che si estendeva fino all’androne. Attualmente l’edificio è impostato su una pianta ad L e si sviluppa su due livelli. Le facciate sono lisce e prive di elementi decorativi, scandite solo dalle finestre al secondo livello, mentre il granile presenta aperture ogivali. Sul fronte principale il portale è affiancato da finestre con grate, mentre al secondo ordine vi sono finestre rettangolari di piperno modanate. Dopo l’avvicendarsi di varie proprietà, il 10 maggio 1564 Ascanio Filomarino, figlio di Scipione e nipote del cardinale, prese possesso del casale e della torre. Poco dopo l’acquisto del casale, i Filomarino ottennero di potervi svolgere all’interno una fiera ed un mercato soprattutto di animali da macello, formaggi e salumi, che in breve tempo acquisì notevole fama. Il mercato si svolgeva ogni settimana di mercoledì ed era molto frequentato sia da avventori che da mercanti, poiché si trovava in una posizione molto vantaggiosa ed offriva uno spazio molto ampio per la vendita, con postazioni sia scoperte che coperte e i cui affitti portavano notevoli introiti ai proprietari del casale. I Filomarino inoltre con l’acquisto del casale di Teverolaccio acquisirono anche il patronato sulla chiesetta di San Sossio, che riedificarono, come si legge sull’architrave del portale rinascimentale che porta incisa la data 1654. Il casale di Teverolaccio fu poi acquistato nel 1807 dalla Principessa Emanuela Pignatelli di Tricase, quando il villaggio contava circa 40 abitanti. In seguito passò al figlio Giovambattista Gallone. In questo periodo continuò ancora a tenervisi il mercato che però andò lentamente in decadenza fino ad essere soppresso del tutto, alla fine di una lunga controversia per i diritti del suolo tra il Principe di Tricase e il Comune di Succivo. Nella descrizione di G. Parente del 1855 il casale di Teverolaccio appariva come deserto e in rovina e vi si contava una popolazione di 18 persone. Nel 1772 fu realizzata la Carta da un tecnico del Comune di Aversa, Vincenzo Fioravanti. Nella Carta il Fioravanti rappresentò Aversa ed i territori circostanti, probabilmente su un disegno precedente e senza apportare aggiornamenti alla rappresentazione urbana, in considerazione della finalità puramente amministrativa del documento e come supporto grafico all’elenco degli insediamenti che rientravano sotto la giurisdizione aversana. La Carta fu commissionata infatti non per rappresentare il territorio dal punto di vista fisico e geografico, ma allo scopo di realizzare una riproduzione dell’Agro Aversano incentrata sulla città di Aversa, intesa come capitale storica e culturale del territorio. Il casale di Teverolaccio viene rappresentato in pianta, dalla forma rettangolare, nella quale è chiaramente riconoscibile l’asse che collega i due portoni d’ingresso, e il collegamento con la strada che conduce a Ponte rotto. È raffigurato l’ingombro del Palazzo Baronale, tuttavia rappresentato come un unico corpo lungo e non nella sua reale articolazione ad L, mentre sul lato Est ed Ovest sono riconoscibili inoltre gli altri edifici addossati alla cinta muraria.

SITI DEL BOLLINO ROSSO:

Localizzazione del sito:
Il sito, in questione, è localizzato in Arzano (NA), e presenta un’entrata in via Alfredo Pecchia e un’altra in via Napoli. E’ possibile giungere al sito anche grazie ai trasporti pubblici come per esempio il bus A20 e il bus T33. Le fermate più vicine, alla villa comunale, sono:

  • Via Pecchia rif. civico 91 (a 212 mt)
  • Via Napoli rif. di fronte civico 27 (a 270 mt)
  • Via Pecchia rif. civico 121 (a 327 mt)

Descrizione del sito:
Le entrate rappresentano una via verso il degrado. Chi per la prima volta viene da Arzano ha la  sfortuna di accontentarsi di ciò che resta della villa comunale. Ora ci sono: aiuole non curate, panchine imbrattate, giostre distrutte e la piscina è diventata ricettacolo per rifiuti di ogni genere. Spazi verdi occupati da fumatori e siringhe vuote . Inoltre, vi è un’intera parte completamente trascurata e abbandonata, da coloro che dovrebbero curare la manutenzione della villa comunale. La zona è ormai fatiscente a causa di una cattiva politica e dell’inciviltà della gente.
Ipotesi di recupero:
Vi è bisogno di un cambiamento radicale sotto tutti i punti di vista. A partire dalle cose basilari, quali possono essere l’illuminazione pubblica, la bonifica della flora, la sorveglianza e la manutenzione. In realtà, vi è bisogno di un completo restyling, ma soprattutto di una continua cura di quello che potrebbe essere un punto d’incontro per i cittadini di tutte le fasce d’età.

 

 

 

 

 

 

Liceo: Liceo Scientifico Giordano Bruno  Classe: 5BLL Tutor: Prof.ssa Michela Ronca

Localizzazione del sito
Il sito è localizzato nei pressi della stazione ferroviaria di Frattamaggiore (NA), in via Sossio Russo. La villa si trova in una zona densamente urbanizzata, facilmente raggiungibile dagli istituti scolastici circostanti. Inoltre è nelle vicinanze di un parcheggio comunale. I paesi limitrofi sono Grumo Nevano e Sant’Arpino.

Descrizione del sito
Villa Laura, edificata agli inizi del ‘900 per un privato frattese, prende il nome dall’amante del committente. Durante la Seconda Guerra Mondiale era stata adibita a centro sanitario di neuropsichiatria infantile, verosimilmente in seguito alla sua donazione al comune. Essendo stata abbandonata, fu utilizzata dal comune come scuola primaria e successivamente adoperata come caserma dei carabinieri sino al 2006, anno in cui la sede fu trasferita in via Rossini. Ad oggi la villa è inutilizzata. L’edificio si articola su tre livelli: il primo e il secondo piano constano di quattro ambienti, il piano sotterraneo di un unico ambiente. Le pareti interne sono state tinteggiate di verde bosco, colore adatto alle esposizioni museali previste dopo le ristrutturazioni del 2010. Lo spazio esterno comprende un giardino, caratterizzato da alberi secolari, e un’area destinata alla ristorazione.

Ipotesi di recupero
Noi studenti proponiamo varie idee circa il recupero della struttura:

  • L’area esterna potrebbe ospitare un caffè letterario, ma anche rappresentazioni teatrali, musicali e cineforum;
  • Per gli ambienti interni suggeriamo di allestire esposizioni con opere di artisti emergenti (pittoriche, scultoree e video art). Potrebbero nascere laboratori artistici (canto, danza, culinaria, fotografia, disegno);
  • Consigliamo di creare un’area moda.

 

 

 

 

 

 

Liceo Classico “F. Durante” Classe III sezione F

Localizzazione del sito
L’antico mulino di Frattaminore è collocato in Via Roma n.68, ovvero cardo dell’antica struttura viaria dell’antica città osca denominata Atella. Il sito si trova a poca distanza da una delle piazze più importanti di Frattaminore dal punto di vista storico, nota per la presenza di un edificio storico risalente al periodo medievale; in origine questa struttura aveva una funzione difensiva poi trasformata in residenza signorile. Purtroppo la zona non è collegata alla rete ferroviaria (la stazione più vicina è Frattaminore-Grumo Nevano) e l’area di sosta più vicina all’antico mulino è quella intorno alla chiesa di San Simeone, dove gli autobus possano effettuare il servizio di carico e scarico dei turisti. I comuni limitrofi sono: Frattamaggiore, Orta di Atella e Succivo.

Descrizione del sito
L’antico mulino risale agli inizi del ‘900 ed è un tipico esempio di archeologia industriale. All’inizio si lavorava il grano per produrre la pasta in vari formati. All’interno ritroviamo una grande corte con giardino e la presenza di una serie di vani e un gran salone. Al piano terra inizialmente c’era una scuola ma negli anni ’60 fu costruito anche un cinema, molto limitato per via dello spazio ristretto. L’ipotesi che ha riscosso più consensi nel gruppo redigente, dall’analisi delle fonti a disposizione per lo più orali, è quella che la trasformazione da mulino a scuola sia avvenuta a causa delle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. Attualmente l’edificio è abbandonato. Sul lato, infatti, è possibile osservare la presenza di impalcature di sostegno, utilizzate in seguito al crollo di un’ala dell’edificio.

Ipotesi di recupero
Noi proponiamo la realizzazione di un caffè culturale, che permetta ai ragazzi di incontrarsi e conoscere i giovani scrittori; proponiamo inoltre di differenziare quest’area in vari settori artistici: musica, danza, teatro e cinema. Suggeriamo infine la realizzazione di una virtual reality zone in cui sia possibile giocare ed imparare allo stesso tempo il nostro passato, proiettandoci alle origine della nostra città.

 

 

 

 

 

 

 

Liceo Scientifico “C. Miranda”, Classe 3E